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Viaggi fuori dai paraggi

Viaggi fuori dai paraggi
“Viaggi fuori dai paraggi” è un lavoro fotografico senza pretese. L’obiettivo segna i passi dell’autore mentre si avventura in una passeggiata, in luoghi che egli stesso non si aspetta di percorrere. 
La location è un qualunque paese del mondo, senza nome, dove il sole è il primo miracolo quotidiano, dai confini ben precisi e una linea equatoriale che non lascia spazio all’immaginazione: siamo senza dubbio al Sud. A piccoli passi, incerti ma curiosi, la macchina fotografica cattura angoli, prospettive, 
figure umane. La vita è nei graffiti sui muri: una comunicazione stagna, senza interlocutori. 
Eppure assordante, protagonista. 
Protagonista assoluto il mare e la sua contemplazione: lo stupore di un bimbo al tocco con l’acqua, 
impaurito e attratto al tempo stesso; uomini e donne fermi sulla battigia, con le braccia conserte 
attendono l’arrivo dell’onda. Pedalò e bagnanti ci restituiscono il profilo di un tipico giorno d’estate. 
Quasi si riesce a percepire il caldo afoso, che costringe “i vecchi” a ripararsi nelle case. 
Non c’è movimento al di qua del mare, nell’aria si respira uno stato di immobilità permanente, se non fosse per quell’erba fitta e verde che cresce ostinata ovunque e avvolge tutto ciò che incontra, come una forma di vita incontrollabile. 
Avvolge l’arredo del giardino abbandonato, un tempo angolo di frescura e di pace. 
Si aggrappa ai muri sgretolati, si avvinghia ai cancelli che nessuno varca. 
Un paese sinistro e ambiguo, di cui ogni foto svela poco a poco un segreto. 
“Viaggi fuori dai paraggi” è un reportage, una “sbirciatina dove l’occhio straniero non dovrebbe cadere”. E se pure cade, non trova risposte alle domande che l’autore si pone. 
Rimane un punto interrogativo senza soluzione. Da quanto tempo le saracinesche sono abbassate? Sedie vuote appena fuori dalle case al piano terra, che si affacciano su strade deserte. 
Eppure le lenzuola sono stese sulle corde, quasi ne sentiamo il profumo e il vento. 
La seconda presenza forte è il cielo, spettatore indiscreto di un modo di vivere senza rumore. 
È un cielo pulito, solo a volte ingrigito da rapide nuvole. Un cielo amico, come un telo colorato messo lì per abbellire. Un contrasto enorme tra l’azzurro e il rame della ruggine 
di obsolete cisterne, che sono troppo ingombranti per diventare trasparenti all’occhio del fotografo ma che, comunque, si lasciano dimenticare e diventano elemento di congiunzione tra terra e cielo.
L’autore non è il solo ad addentrarsi tra i vicoli, qualcuno si fa gioco di questo curiosare. 
Ed ecco comparire segnali stradali che non portano a nulla. Confusione ed estraniazione in un bosco. 
Appena più in là la ferrovia: unico punto di congiunzione con il resto del mondo. 
Eppure nessuno aspetta l’antica macchina a vapore, né il ruggito del moderno mostro. 
Il treno passa da una stazione vuota di cui non sa il nome, e neanche lo vuol sapere. 
Poi di colpo, il vociare umano. Strada dopo strada l’incontro con la vita: il mercato e la vendemmia.
Un ragazzo lavora in un vigneto, una donna anziana mostra i doni della terra che ha pazientemente coltivato. Sui volti umani i segni del tempo trascorso a lavorare nei campi, sotto un sole cocente.
Il mistero è svelato. È un luogo dove il tempo ha regole diverse, battiti più lenti. 
Eppure, c’è vita.
La stessa che emoziona l’autore quando, facendo ritorno, immortala di spalle una giovane donna adagiata sulla riva del mare calmo, con in braccio il suo bambino.  
Il resto è un racconto nuovo. 
Che riempie di china le pagine di tanti diari di viaggi…appena fuori dai paraggi.  

... il progetto è stato eseguito con una macchina fotografica “toys camera” in analogico.
Viaggi fuori dai paraggi
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